Giorgio Fontana e Marco Missiroli, "La nostra carriera di lettori"

Prima di iniziare a parlare del suddetto evento, è necessario che io lo ammetta pubblicamente: quest'anno il Festival della Mente è stato proprio ganzo. Non che abbia partecipato a molti eventi, più per tempo che per ragioni pecuniarie, che la maggior parte ha l'esorbitante prezzo di due caffè, ma ho apprezzato il programma, ho sguardicchiato le offerte – prendendomi mentalmente a cinghiate perché, cristo, ho da scrivere la tesi – e non ho potuto fare a meno di pensare che quest'anno, beh, ben fatto. Proprio ben fatto.

Giorgio Fontana e Marco Missiroli, "La nostra carriera di lettori"

Ieri, dunque, sono stata all'incontro con Giorgio Fontana e Marco Missiroli, interamente dedicato alla loro carriera di lettori. Mente mia fatti capanna. Del primo ho letto Morte di un uomo felice, vincitore del Campiello nel 2014, libro infame e meraviglioso. Non so spiegarmi perché qui non ne abbia ancora parlato, credo che dipenda dal fermo martirio che racconta, che pretende un cervello sveglio, sottile, capace di andare in profondità. Nulla di cui io abbia potuto usufruire negli ultimi tempi, ecco. Di Missiroli, accidenti degli accidenti, non ho ancora letto nulla. Il che è bizzarro, perché è in cima alla mia Lista almeno da un paio d'anni. Mi è dispiaciuto arrivare all'evento impreparata, incapace di cogliere gli eventuali auto-richiami letterari. Pazienza.
E dunque, l'incontro.
Parto col dire che, come di consueto, ho dimenticato di portarmi dietro penna e taccuino. Ormai neanche me la prendo più, va bene così. È il giusto prezzo della svagatezza. Di conseguenza, posso riportare solo vaghi spezzoni, che con la mia memoria nuvoliforme non è che si possa andare tanto lontano. Quindi andrò per sprazzi, impressioni e inesattezze.
Fontana ha scritto un libro di potenza e crudezza terribili, su un magistrato che va incontro alla morte, con le pagine che mandano ondate di paura e di consapevolezza. Ti aspetti un tipo ombroso, con le spalle piegate, la faccia buia di pensieri mesti. E ti ritrovi davanti uno che potrebbe starti davanti in fila al Lucca Comics, con un'aria così allegra e innocua che ti verrebbe pure da passargli davanti con una spallata. Ha quell'aria lì.
Missiroli invece sorride poco, aveva sempre un'espressione assorta, rincagnato su una sedia troppo bassa. Ho un po' sofferto, vedendo il modo in teneva in mano i libri, ripiegandone all'indietro la copertina. Dolore fisico.
Una cosa che ho adorato dell'incontro è che hanno effettivamente discusso di libri. Non si sono limitati a prepararsi una conferenza spezzettata, qualche frase messa bene, si sono accordati sui temi, ma senza incasellarsi in un discorso privo di sbocchi. Hanno parlato a turno degli autori che li avevano formati come lettori prima che come scrittori, e su questo hanno interagito. Si rispondevano coerentemente. E questo, per chi frequenta incontri letterari/culturali, non è poi così scontato. Ho adorato anche l'aria di allegro rispetto che passava tra loro. Hanno affermato di essere grandi amici, ed è facile crederlo. Anche perché si abbracciavano ad ogni occasione, e quando privi di occasione, se ne creavano una. Mi hanno messo addosso un buonumore spaventevole.
Un'altra cosa che mi ha stupita è che non hanno infilato i propri libri nel discorso. Mi aspettavo, magari, qualche collegamento intertestuale, rimandi ai loro personaggi e alle loro storie, il che non sarebbe stato strano, dopotutto. Invece no, sono rimasti ancorati al loro comune ruolo di lettore. Io ho letto questo, io quest'altro. Non che mi sarebbe dispiaciuto sentirli parlare di “cose loro”, ma ho un po' apprezzato questo punto, perché sottolinea il rispetto che hanno per la lettura. Che non è solo un mezzo, uno strumento che hanno usato per imparare a forgiare le parole. È lettura. Punto.
I loro percorsi non potevano essere più differenti. Fontana ha iniziato a leggere prestissimo e, avvalorando l'immagine da Lucca Comics che me ne ero fatta, ha portato come pietra miliare della propria carriera di lettore un numero di Topolino, con la costa giallo limone che spiccava sul tavolo. Ha parlato di un autore particolare, di cui non ricordo il nome, delle sue storie con una struttura sempre identica, con Zio Paperone che parte alla ricerca di un tesoro, delle regole che infrange, delle avventure cui va incontro. Del messaggio sottinteso, che bisogna infrangere le regole per vivere un'avventura.
Missiroli, invece, ha iniziato a vent'anni, cosa che lì per lì mi ha lasciata perplessa. Sua madre, pensando di fare bene, l'aveva iniziato alla lettura con L'Alchimista di Coelho, e la plausibile reazione di Missiroli è stata “Ok, non leggerò mai più”. La sorella è fortunatamente intervenuta fornendogli Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti e il padre ha in seguito provveduto con Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati. Da lettore ha rischiato moltissimo, ma poi è andato tutto bene.
E qui la mia memoria inizia a sgretolarsi. Entrambi hanno portato con sé un sacco di aneddoti interessanti sugli scrittori, e mi è difficile ricordare precisamente a chi affibbiare cosa. È Buzzati l'autore rifiutato da 32 editori in Italia, e alla fine scoperto in Francia da Camus? Mi pare. Mi sembra.
Altri aneddoti interessantissimi: lo zio di William Somerset Maugham col suo esercito di carlini, Ernest Hemingway che ha cantato per ben due volte, in italiano, “Tutti mi chiamano bionda, ma io bionda non sono” prima di spararsi, Emmanuele Carrère che ha tentato il suicidio impiccandosi, dopo essere entrato nella testa del diavolo, il barattolo di urina apocrifa portato dalla moglie pazza di Philip Roth come prova della propria gravidanza. E c'era un aneddoto su Franz Kafka interessantissimo, peccato che non riesca assolutamente a ricordarmelo. Diamine. Spero mi torni in mente, altrimenti mi toccherà rompere le scatole direttamente a Fontana. Social network, il cilicio degli scrittori.
Troppi nomi per tenere le fila della discussione. Compaiono Saul Bellow, Il teatro di Sabbath di Philip Roth, Il posto di Annie Ernaux, le orecchie a punta e il fascino di Carrère, un sacco di Dostoevskij coi i suoi demòni, Il commesso di Malamud col suo ebraismo laico, Stig Dagerman che si è ammazzato a 31 anni, e il suo Bambino bruciato, Il processo di Kafka, Il vecchio e il mare di Hemingway, che si è sparato sul linoleum per facilitare la pulizia.
Un sacco di scrittori, un sacco di libri, qualche incipit, un paio di posologie. Un incontro interessantissimo, di rara possanza letteraria. Che non mi capita spesso di ascoltare qualcuno che ama i libri, che di libri ne sa a pacchi, e ne parla come se il suo interlocutore ne sapesse altrettanto.
In sintesi, la mia Lista ha subito un'impennata. Devo recuperare il più presto possibile Kafka e Carrère, prima di tutto. Poi vedremo. Intanto, nonostante fossi uscita col chiaro intento di non spendere nemmanco i soldi di un caffè, che il mio budget per i libri si è frantumato sbattendo contro l'operazione ai calcoli del mio gatto, ho finito con l'incagliarmi contro il banchetto dei libri, per agguantare Per legge superiore di Fontana e Il senso dell'elefante di Missiroli.
Ho anche assistito a una scena adorabile mentre attendevo il mio turno per farmi firmare Per legge superiore. Una bambina minuscola (sei anni? Di meno? Di più? Chissà) ha voluto farsi autografare un foglio bianco da Fontana, e lui era tutto contento e gongolante.
E beh, dunque.
Per ovvi motivi non posso ancora pronunciarmi letterariamente su Missiroli, che seppure mi sia stato plurimamente consigliato da genti fidate, ancora non l'ho letto. Fontana invece ho già avuto modo di adorarlo con Morte di un uomo felice. A parte questo, posso affermare con sicurezza che sono due Signori Lettori, e che l'incontro ha meritato tutto il mio entusiasmo. In anni di Festival della Mente e di incontri con gli autori, posso dire che questo è stato il più letterariamente meraviglioso cui io abbia mai assistito. Quindi se mai passassero dalle vostre parti, insieme o singolarmente, diamine, andate. E divertitevi.