Comunque vada non importa di Eleonora C. Caruso

Dunque, Comunque vada non importa di Eleonora C. Caruso, edito da Indiana nel 2012. Un libro che avevo piazzato nella mia lista mentale dei desideri dopo aver letto Col nostro sangue hanno dipinto il cielo, racconto lungo che l'autrice aveva pubblicato con Speechless e di cui avevo entusiasticamente chiacchierato qui.
Inizio col dire che questo libro – forse soltanto questa copia – è oggetto di una macchinosa maledizione che lo vuole annegato. Previa autorizzazione dell'amica che me l'ha prestato, me lo sono portato dietro in vacanza. Posato vicino al divano, ha rischiato di essere sommerso da una tazza di tè dimenticata, ed è rimasto illeso per miracolo. Nel viaggio in macchina, una bottiglia si è aperta inondando i tappetini ove era sito il mio zaino, e solo per pignoleria il libro era protetto da una busta di plastica. Forse domani franerà il tetto, chissà. Devo restituirlo prima che la maledizione si abbatta nuovamente.
Ora, bando alle ciance. Anche se devo dire che non è un libro facilissimo di cui parlare. La lettura è stata altalenante, un po' sì e un po' no, a seconda. E poi iniziavo a chiedermi il perché dei miei sì e dei miei no, e se potessi considerarli validi. Un'amica con me in vacanza l'ha letto prima di me, ed è stato utile poterne discutere brevemente anche con lei, che nei miei no vedeva dei sì.
La protagonista e narratrice è Darla, una ragazza di ventitré (mi pare) anni che vive a Milano insieme al fratello maggiore, Andrea. Nessuno dei due ha ben chiaro che fare della propria vita, Andrea continua a saltare da un corso universitario all'altro mentre Darla, forse più coerente con se stessa, non si presenta a lezione né tenta alcun esame. Non hanno un gran rapporto, essenzialmente si abbaiano l'un l'altra all'occorrenza, ma il più delle volte si ignorano. Alessandro, ragazzo di Andrea, diventa poco a poco amico di Darla, e acquisisce un ruolo nella sua vita. Davvero difficile parlare della natura di quel ruolo.
Ora, Darla. Che per me è un sì e un no insieme. All'inizio, quando parlava della sua passione per manga e anime e delle sue gite in fumetteria, mi dicevo che sarebbe stato bello incontrarla e conoscerla quando stavo a Milano, che avremmo potuto fare la spola tra La borsa del fumetto e Supergulp e chiacchierare di Lady Oscar fino alla morte del sole. Eppure andando avanti nella lettura mi ritraevo da Darla come se fosse veleno. Non riesco a non vederla come una persona dannosa. Estremamente egoista e concentrata su se stessa, non esita a ferire chi ancora si ostina a starle intorno, coi suoi giudizi severi e affrettati. È un personaggio che non riesce neanche a indurmi una grande pena, perché la sua autodistruzione è cercata, forzata. Quella di Andrea, il fratello, è qualcosa di molto più grave e autentico, e io credo che lei lo odi per questo.
Quindi, dicevo, questo libro è la storia di Darla che vive con Andrea, del rifiuto del mondo di lei e della vita di lui, dei sentimenti complessi che provano per il padre, di Alessandro che cerca di fare qualcosa. Il tutto visto dal punto di vista parziale di Darla, che a tratti induce a empatia, anche se più spesso mi sarebbe venuta voglia di prenderla a pedate.
Non che questo sia un problema del libro. Né un problema, a dirla tutta. Darla vive nel disprezzo per se stessa e nella passione per anime e manga, e questo la Caruso lo racconta bene. Non mi sto lamentando del libro, né penso che Darla ne sia un difetto, sia chiaro. Mi lamento di Darla perché è un bel personaggio e, per me, una persona veramente urfida.
Dicevo però all'inizio che c'erano dei sì e dei no. Ci sono anche dei forse.
Il primo no non è mio, ma di un'amica che ha sbirciato le pagine, e ha trovato i riferimenti ai manga eccessivi, sottolineando che una dose così massiccia rischia di tagliare fuori chi di Evangelion e Lady Oscar non si è mai interessato. Osservazione più che legittima, che infatti riporto. Personalmente trovo che non si corra tanto il rischio di essere tagliati fuori, voglio dire, Nick Hornby e Roddy Doyle sono sempre a parlare di gruppi musicali sconosciutissimi, eppure non mi sento esclusa dalle loro conoscenze. Ammetto però che in certi punti l'ossessione otaku di Darla si faceva ridondante, per nulla discreta, anche se trovo plausibile che si trattasse di una scelta per fare capire al lettore che Darla, tolti manga e anime, non ha proprio altro. E aggiungo che  in certi punti mi sono sentita molto in sintonia con lei, e con il mio periodo adolescenziale, quando cercavo per ore informazioni e novità sulle serie che seguivo. E con una parte di me che, ancora adesso, si tufferebbe in mezzo al merchandising più becero di Sailor Moon.
Un altro no, e questo è mio, è la plausibilità di alcuni fattori. In realtà la famiglia di Darla mi ricorda un sacco i dubbi che continuo ad avere sull'osannatissimo Frozen. Cioè, Darla e Andrea che continuano a vivere insieme, geograficamente appiccicati, per anni e che tuttavia non risolvono nulla. Ma veramente nulla. Praticamente non parlano, se non sono sicuri di potersi fare un sacco di male a vicenda. E per il rapporto col padre vale la stessa cosa. È davvero possibile rimanere immobili così per tanto tempo, senza mai fare uno sforzo, o senza che la situazione degeneri al punto da fare implodere la famiglia, o da migliorarla un poco? Per me questa cosa è un no, ma per giustizia dico che per l'amica che ha letto il libro è un sì.
Un paio di personaggi li ho trovati davvero poco credibili, più deus ex machina che reali personaggi. Parlo di Alessandro, ma anche un po' del suo amico Alberto, che mi sembra funzionale per dare spazio a dialoghi “simpatici” con Darla e nient'altro.
Non so se risulti chiaro a voi quanto a me, ma non mi è facile dare un giudizio definitivo su questo libro. Mi è piaciuto molto, ma nel contempo mi ha fatto anche storcere il naso per i suoi “possibile che...?”. Quindi direi che è un “sì” piuttosto deciso, cui si aggrappa qualche “no”.
Mi va di fare cenno però alla differenza stilistica tra Comunque vada non importa e Col nostro sangue hanno dipinto il cielo. Una differenza abissale. Non credo si tratti di un semplice miglioramento nella scrittura portato dal tempo e dall'esperienza, Darla non avrebbe raccontato se stessa né il mondo con la bellezza con cui viene dipinto Shun. È stata una scelta stilistica quella di attribuire a Darla una parlata di frasi brevi e secche, di metafore interne al suo mondo scarno, di volgarità, e di rendere il racconto di Shun bello e delicato così come lui è bello e delicato.
Non so, non è che questa postilla voglia dire molto, se non che sono rimasta colpita dalla capacità della Caruso di cambiare scrittura così radicalmente. Punto.