La festa di Margaret Kennedy

La festa è stato il primo titolo che ho abbrancato, quando mi sono trovata davanti allo stand della Astoria al Salone. Ne avevo letto giusto un paio di recensioni, ma mi erano bastate per sapere che dovevo averlo.
Dunque, scritto da Margaret Kennedy e assai ben tradotto da Bruna Mora, è stato scritto nel 1950 e portato nelle nostre lande italiche da Astoria nel 2014.
Intanto dico che è meraviglioso, e che spero che prima o poi l'Astoria decida di tradurre anche le altre opere dell'autrice. Mentre lo leggevo e ne chiacchieravo su facebook non riuscivo a trovare le parole giuste per descriverlo, mi venivano in mente le parole “superbo” un vago concetto di stupore disincantato, di inquietudine che non pregiudica il presente di quello che stai leggendo, e che però ti fa voltare le pagine più in fretta.
Questo libro inizia dalla fine, dal canonico di un paesino che si appoggia sulle scogliere della Cornovaglia, Pendizack. È il 1947 e il reverendo Bott si trova nell'orribile situazione di dover scrivere l'omelia funebre per gli occupanti di un albergo che stava a ridosso della scogliera, e che è stato distrutto dal crollo dei massi sopravvenuto dopo mesi dallo scoppio di una mina ritardataria. Quella breve introduzione ci fa sapere che l'albergo è crollato, e che vi sono morte delle persone. Sappiamo che ci sono dei sopravvissuti, perché il reverendo ne fa cenno. Ma non sappiamo chi, né quanti. E poi inizia la storia cui il finale fa da prologo. Parte settimane prima, e racconta della famiglia Siddal che gestisce l'albergo e dei suoi occupanti, con la signora sempre occupata e il signor Siddal recluso in uno sgabuzzino, empio dei suoi fallimenti economici, e i tre figli che aiutano nella gestione della pensione. Ci sono i coniugi Paley – ognuno coi suoi incubi – e i coniugi Gifford, la cameriera Nancibel e la pigra signora Ellis. Arriveranno la signora Cove, vedova con tre figlie giovanissime, e i quattro esagitati figli dei Gifford, e il signor Wraxton con la sfortunata figlia Evangeline Arriveranno Anna e Bruce e... e via così.
Anzi, non proprio. Perché detta così pare si tratti di un elenco di persone senza volto, di personaggi che hanno il solo scopo di interagire vicendevolmente, magari per suscitare ilarità coi loro screzi. E no, proprio no. Gli ospiti arrivano, si conoscono e soprattutto, vanno avanti con le loro vite, con naturalezza. Attraverso la disgrazia di Evangeline, resa fragilissima da un padre autoritario, la signora Paley ritrova qualcosa in sé, ed è una scena davvero commovente. Si scopre poco a poco qualcosa della piccola Hebe, figlia adottiva dei Gifford, e delle tre figlie della signora Cove. Nancibel conosce Bruce, Gerry inizia a sentirsi stretto l'albergo che deve contribuire a mantenere, il signor Siddal parte come un patetico capro espiatorio, ma il suo ego si fa sempre più solido e ingombrante.
Non ha senso spiegare tutto quello che cambia e va avanti. Il fatto è che, se anche togliessimo il crollo della scogliera sull'albergo dei Siddal, resterebbe davvero un bel libro, dedicato alla vita, resa un po' più difficile dal dopoguerra, dei personaggi che stazionano a Pendizack in un determinato momento. Sarebbe comunque un libro piacevolissimo. Quando ho iniziato a leggerlo mi chiedevo come sarebbe stato, l'arrivo del crollo, quanto tempo la Kennedy vi avrebbe dedicato, in termini di pagine. Un intero capitolo o poche righe? Una scena di morte e disastro contratta, o la descrizione di come quei pochi si sono salvati? E in quell'ultimo caso, avrebbe fatto onore ai sopravvissuti, o avrei letto di una polverosa e sotterranea Battle Royale per accaparrarsi i posti da vivi?
In sostanza, ho adorato questo libro. Estremamente. Per i suoi personaggi e per le loro storie che non si interrompono in vista della morte, ma anzi scorrono e si rivelano incomplete, pagina dopo pagina. Non posso fare a meno di consigliarlo. E riconsigliarlo. E riconsigliarlo di nuovo. Ad libitum.