Ioleggoperché, editoria e cultura dei manager

Questo è un post i cui contenuti potranno essere letti in mille altri articoli, scritti da altrettanti blogger. Che se volete qualche spunto interessante sull'argomento ci sono questo articolo, questo articolo e pure questo. Aggiungerò link man mano che usciranno nuovi articoli, con calma. Detto così pare che io voglia cacciarvi per impedirvi di leggere avanti. Invero voglio che sappiate, prima di imbarcarvi nella lettura di codesto post, che sono egualmente lontana dall'originalità quanto lo sono dalla Luna.
Dunque, c'è questa iniziativa chiamata Ioleggoperché. E lo dico in anticipo prima che seguano le critiche, non è poi male, non è un qualcosa di cui dovremmo lamentarci o strepitare. Nel suo piccolo, se la si prende per quello che è, è anche una cosa carina, dai. C'è dell'impegno, e va riconosciuto. Non ai piani alti, sia chiaro. Nei volontari, negli sponsor. I piani alti hanno dato l'ok, si sono incontrati per la conferenza stampa e poi via, avvolti nelle tenebre del “lasciamo fare ai lettori come se la cosa non ci riguardasse”.
Mi scopro cinica, non posso farci nulla. Il fatto è che un'iniziativa di questo tipo, dispendiosa solo per stampa e per comunicazione – mi dà l'impressione di un ottimo inizio. Solo che - che io sappia - non ci sarà alcun seguito, quindi a che sarà servito? Un po' come il calcio d'inizio senza partita, lo sparo senza la corsa, la piscina senz'acqua. Se la giornata del 23 aprile si concludesse con l'annuncio “E con Ioleggoperché ha inizio il periodo denso di iniziative che vogliono riportare le persone alla lettura, la parola ai bibliotecari” allora sarei giuliva. Credo. Probabilmente troverei di che lamentarmi anche allora. Rimane il fatto che non c'è nulla oltre una giornata di distribuzione di libri gratis.
Per dire, ha senso una giornata in cui si parla di “recupero lettori” senza che si discuta di fondi alle biblioteche, scolastiche o comunali che siano? Di buoni da fare arrivare alle scuole per l'acquisto di narrativa? O l'avvio di progetti che si appoggino ad associazioni come Nati per Leggere, ma che siano costanti e continui, e non una fiammata cui segue il nulla.
A parte il fatto che l'avvicinamento di lettori adulti, lontani dalle scuole, mi pare davvero una faccenda ardua e complicata. Altro che “messaggeri”, tralasciando l'alone inquietante da setta della faccenda. Ci vorrebbe la televisione, ad esempio. Ci vorrebbe un impegno serio per coinvolgere gli spettatori e convincerli poco a poco dell'importanza del libro e della cultura. Tipo una ri-alfabetizzazione culturale, dopo l'alfabetizzazione portata dalla tv negli anni '50-'60. Ma che, vogliamo mica togliere spazio all'entusiasmante programmazione Rai per proporre qualcosa che abbia un impatto? Follia.
Il ventiquattro aprile saremo allo stesso punto in cui ci trovavamo il ventidue. Con il grande mondo dell'editoria che chiede ai lettori – clienti – un impegno che loro non hanno intenzione di addossarsi. E non è che si possano affibbiare colpe così, a caso, scorrendo la lista dei membri dell'ALI o del Centro per il libro e la lettura, o spuntando nomi dai manager dei grandi gruppi editoriali. Piuttosto, il problema è quello che ha portato dei manager a capo dei gruppi editoriali.
Qualche giorno fa ho letto la notizia del presidente Amazon Italia che ha fatto un gestaccio a un giornalista, illudendosi che la telecamera fosse spenta. Un genio, un luminare dei nostri tempi. Ma non è tanto questo ad avermi stupita. A sconvolgermi è stato leggere che, prima di diventare il presidente Amazon Italia, il tipo era stato AD di Mondadori Electa. Un tipo che fa il gesto dell'ombrello, e che lo vedi pure da lontano che non ha niente a che fare col libro. Al massimo col libretto della patente. Eppure bom, a capo di una casa editrice. Che ce n'era bisogno.
È un po' la stessa logica che ha portato persone quali Bondi e Franceschini al ruolo di ministri della cultura, che ti fanno rimpiangere perfino Sgarbi. Che pur essendo Sgarbi, e non è dire poco, almeno aveva delle competenze su ciò di cui si andava a occupare. Poi apriva bocca e faceva crollare il Paradiso, però intanto la competenza c'era.
(Il ministro Bray è stato un'illusione, ne sono certa. Non credo che sia realmente avvenuto, è stato un bellissimo sogno che non si ripeterà.)
È la stessa logica che porta gente cui del libro non potrebbe fregarsene di meno a occuparsi del Salone del Libro di Torino. E qui sto barbaramente sputando nel piatto in cui prevedo d'ingozzarmi, perché adoro il Salone e mi ci pianterò per tutti i giorni. E ho già stampato l'accredito da blogger.
Però intanto si vede che non è organizzato per i lettori, probabilmente perché gli organizzatori non sono lettori. Ospiti come Favij o Emis Killa, che nulla hanno a che vedere coi libri. O il fatto che a un mese dall'inizio ancora non sia uscito il programma del Salone, perché figuriamoci se a qualcuno interessa degli scrittori che interverranno al punto da organizzarsi appositamente per riuscire a vederli. E poi quell'immagine aberrante che pare appena uscita dal simulatore automatico di immagini per Expo2015, e che io continuo nonostante tutto a sperare che sia una (evitabile) presa in giro.
Che poi, parlando appunto dell'immagine del Salone e presupponendo che non sia uno scherzone. Facciamo che è l'immagine ufficiale per davvero. È palese che ricalchi le immagini dell'Expo, il rimando è palese. Ora, con tutto il polverone che hanno sollevato le suddette immagini Expo, perché si va a omaggiarle? Perché qualcuno che non capisce una mazza di libri e di lettori – e si vede dal ruolo che la pila di libri occupa nell'immagine. Per terra, dietro la sedia del regista. Pronti per il falò. - crede ancora alla boiata che “Che se ne parli (male)trash, purché se ne parli”. Che più qualcosa è brutto e fatto male, e più se ne parlerà, e sarà pubblicità gratuita.
Oh, manager. Buon manager incapace nella localizzazione delle tue stesse terga.
Suddetta regola non vale quando il pubblico che si deve raggiungere cerca competenza e rilievo di cognizioni. Va bene per l'intrattenimento disimpegnato, per la mezzora di programma comico in cui due gentiluomini si esibiscono in pernacchie e pugni in zona scrotale. Non vale, ad esempio, per i mestieri più specializzati. Quale medico vorrebbe veder parlare di sé come di un incompetente? Chi vorrebbe salire sulla macchina guidata da un autista celebrato per i suoi incidenti? Quale esponente del mondo letterario vorrebbe farsi rappresentare da un'immagine che parla solo di pessima grafica e di zero lettura?
Molti. Diciamocelo. Molti. Altrimenti non avrebbero senso le rubriche quali Photoshop non ti conosco etc. di LibrAngoloAcuto o blog quali Fascetta Nera. Il mondo dell'editoria è riuscito a diventare una barzelletta partendo dall'Olimpo, perché... beh, difficile da dire. Forse decenni fa qualcuno si è detto che sarebbe stato più facile avvicinare l'editoria al grande pubblico, segando via quel qualcosa in più che si chiama cultura. Forse col passare degli anni gli editori sono stati sostituiti da individui con studi “marketing” che di libri non sanno nulla, neanche come venderli, ma sono dei maghi a vendere se stessi. E magari, anno dopo anno, a queste persone è stato dato il compito di scegliere i loro sottoposti, i loro successori, e ora la fuffa regna e non sa neanche di essere fuffa. E ci troviamo direttori editoriali che fanno il gesto dell'ombrello e grandi iniziative di promozione alla lettura omertose sui fondi inesistenti alle biblioteche.
E il mondo dei lettori è stato trasformato in un mondo per non-lettori, e i lettori hanno cominciato ad andarsene e i grandi architetti si chiedono perché non tornino, visto che è un mondo tanto comodo. Per loro.
E forse è il caso che io la chiuda qui.
O forse potrei risollevare il morale di chi legge facendo notare che i lettori giovani sono una maggioranza, che Ioleggoperché è meglio di niente, che se tanti hanno risposto alla chiamata, c'è una base pronta all'impegno. Peccato per il resto, ecco. Peccato che se sollevi lo slogan, sotto non trovi neanche l'aria.

(Lo so, sto generalizzando troppo sull'onda dell'irritazione. Mea culpa. Il mondo dell'editoria, pure quella grande, è fatto anche di immense competenze e gente che i libri li ama e li conosce, e se me ne dimentico finisco per non capirci più nulla. Eppure, eppure, eppure. C'è questo cortocircuito tra lettori e editoria che non si riesce a superare, come se all'altro lato della comunicazione ci fosse qualcuno che non capisce la lingua del libro.)