Terapia di gruppo - Racconto post-zombie

Lo so, questo è un blog dedicato ai libri, non un pozzo in cui gettare i miei raccontucoli. E sì, la mia lunga affezione per gli zombie ha un che di inquietante. D'altronde avevo voglia di scrivere qualcosa che non fosse una recensione, e avevo questa idea che mi ronzava in testa da settimane e che prima o poi voglio assolutamente ampliare, e avevo davvero bisogno di staccare un po' dallo studio. Quindi beh, ecco questo racconto post-zombie, che a metà scrittura ha preso una piega che sinceramente non mi aspettavo e che non sono sicura mi convinca.
Ad ogni modo, a presto. Ora posso tornare a studiare.


  • Mi chiamo... ecco, è obbligatorio dirlo?
  • Niente è obbligatorio, qui. Solo sentirsi a proprio agio. Presentati come preferisci.
  • Allora, ecco, allora... - rifletté per qualche secondo, alla ricerca di uno pseudonimo credibile. Quasi non credette alle proprie orecchie quando si sentì buttare fuori - 'Chiamatemi Ismaele'.
  • Ciao, Ismaele.
Ismaele – all'anagrafe Carlo Foschi – abbassò lo sguardo sulle proprie mani dalle dita tozze, quasi senza unghie. Avvertiva l'odore acre del proprio sudore e cercava di tenere le braccia premute contro il busto perché nessun altro se ne rendesse conto. Era la prima volta da anni che si trovava in una stanza con degli sconosciuti e, nonostante fossero soltanto una manciata e sapesse che si trattava di reduci come lui, non riusciva a scacciare del tutto quella sensazione di disagio misto a terrore.
  • Sì, dunque, ecco... - borbottò, per poi schiarirsi rumorosamente la gola e continuare – Mi chiamo Ismaele e ho trentuno anni. Ne avevo ventisei quando è scoppiato, sì, l'Apocalisse e...
  • Perdonami se ti interrompo, Ismaele - flautò lo psicologo moderatore, agitando la penna con cui prendeva appunti come fosse una bacchetta magica – ma preferiremmo non ti riferissi all'epidemia come all'Apocalisse. È un'interpretazione che mina la corretta ripresa di una vita normale.
  • Va bene. - sbuffò Ismaele, cercando di togliersi dalla testa l'immagine dello psicologo-moderatore con la penna piantata in un occhio, la pelle che si decomponeva e cadeva a terra in umide scaglie verdastre – Avevo ventisei anni quando è iniziata l'epidemia. Io e mia madre eravamo in casa e stavamo guardando il telegiornale e... beh, ovviamente non siamo riusciti a crederci subito, pensavamo fosse tutta una montatura. Ci siamo fatti una risata, abbiamo continuato a vivere come se nulla fosse. E non eravamo gli unici. I militari sono venuti a prenderci una settimana dopo che era scoccato l'allarme, ci hanno portato nel punto di raccolta più vicino e... beh, abbiamo costruito il muro con gli altri. Ma mio fratello, quello più piccolo... lui era a scuola. I militari non hanno fatto in tempo a...
Ismaele smise di parlare, ansimò come se gli fosse rimasto qualcosa incastrato in gola. Gli occhi si inumidirono, scosse la testa, alzò le mani come ad arrendersi e tornò a sedersi.
  • Grazie, Ismaele. È stato molto coraggioso da parte tua parlarcene. Qualcun altro vuole condividere la propria esperienza?
Una ragazza alzò la mano, con fare incerto.
  • Prego, Carlotta, alzati e condividi.
La sedia strusciò rumorosamente contro il pavimento, facendo sobbalzare i presenti. Lo psicologo-moderatore si teneva la mano premuta sul cuore, mentre invitava la ragazza, con un fluido movimento della penna, a esprimere se stessa.
  • Io... beh, mi conoscete, vengo qui da tanto. - cominciò, affondando le mani nelle tasche della propria felpa – Mi chiamo Carlotta, ho vent'anni e... no, non mi salutate. Ci siamo salutati prima, all'entrata. È stupido.
  • Carlotta. - la riprese il moderatore.
  • Scusate. Solo... non amo le formalità. Non credo che abbiano più molto senso dopo... beh, dopo tutto quello che è successo.
S'interruppe per qualche secondo e il suo sguardo scivolò verso la finestra aperta, che dava su un cortile quasi deserto. Erano al piano terra e non poteva fare a meno di pensare a quanto fosse stupida quella scelta. Bisognava salire, sempre salire. Più erano in alto, più sarebbero stati al sicuro. Si riscosse dalle proprie fantasie quando il suo vicino tossì appena.
  • Scusate, mi ero... non importa. Dov'ero rimasta? Giusto, le formalità. Non riesco più a capirle. Dire 'ciao', 'grazie' o 'prego', augurarsi la buonanotte, tenere aperta la porta a un anziano, ai quei pochi che sono rimasti, voglio dire. Non è tutto senza senso, visto che ormai l'abbiamo capito che, siamo seri, alla prima minaccia finiremmo per farci fuori a vicenda? Voglio dire, se qualcuno di voi, anche tu, Ismaele, non ti conosco ma hai una faccia simpatica, ma se uno qualsiasi di voi dovesse scoprirsi infetto, voglio dire, quanto ci vorrebbe per sparargli in testa? Niente, neanche il tempo di un saluto. Lo sappiamo come siamo fatti da morti, cosa c'è dopo l'ultimo respiro e quanto è facile staccarci la testa con un'ascia. Continuare a fare i carini e gli educati non ce lo farà dimenticare.
S'interruppe, tornò a guardare la finestra. Le sue labbra si mossero come se avesse visto qualcosa, ma dopo aver riportato lo sguardo sul moderatore, tornò a sedersi senza aggiungere altro.
  • Carlotta – sospirò il moderatore. Si tolse gli occhiali, li pulì con ostentazione con un angolo ripiegato della propria camicia perfettamente inamidata – Ne abbiamo già parlato. Le buone maniere servono a ricordarci che siamo uniti, che teniamo l'uno all'altro e che, finché non costituiremo una minaccia per gli altri, continueremo a sostenerci a vicenda. Quei 'ciao', quei 'grazie', le gentilezze di cui ci facciamo oggetto, sono modi per rafforzare il nostro legame come persone e soprattutto ci servono per tornare con la mente a 'prima' dell'epidemia. Quando portavamo il cane a fare una passeggiata e, incrociando un vicino, lo salutavamo.
  • Non... - fece Carlotta, aggrottando le sopracciglia – Non riesco a ricordare quel periodo. O quella gentilezza. Gli zombie l'hanno lavata via.
  • Carlotta! - esplose il moderatore – Non ci riferiamo agli infetti come agli zombie! Erano persone malate, che la malattia portava disgraziatamente all'aggressività e al cannibalismo, ma non per questo dovremmo definirli zombie.
  • Eddai, Mod – sbuffò il suo vicino – Un po' zombie lo erano.
  • Elia, ti ho già detto di tenerti per te le tue assurde teorie, o dovrò espellerti dal gruppo! - ruggì il moderatore, lanciando un'occhiata di fuoco al suo vicino – La tesi apocalittica, così come la tesi degli zombie, impediscono un approccio realistico nella valutazione di quello che abbiamo passato e ci ostacolano nella via dell'accettazione e della guarigione.
  • Beh, gente decomposta che mangia carne umana. - fece Ismaele – A me suona molto zombie...
  • Finitela! Ora... basta, potete andare. L'incontro di oggi è saltato, nel tempo record di cinque minuti, grazie alle vostre sciocche osservazioni.
I presenti rumoreggiarono delusi, muovendosi a disagio sulle scomode sedie di legno.
  • Non sto scherzando. Ci vediamo la settimana prossima, e spero che per allora vi siate decisi a comportarvi come persone adulte e razionali.
  • Eddai, non può abbandonarci così. - fece Elia – Così sembrerà colpa mia...
  • Certo che è colpa tua! - esplose il moderatore, voltandosi come una furia verso il suo vicino - È sempre colpa tua, soltanto tua, e se tu avessi voluto darmi retta per una sola dannatissima volta in vita tua...
S'interruppe di colpo e Ismaele notò come avesse cambiato l'impugnatura alla penna, e di come la stesse stringendo come fosse un pugnale. Deglutì un paio di volte, mentre le palpebre del moderatore si richiudevano lentamente sul suo sguardo spiritato. Gli angoli della sua bocca erano bianchi, umidi di saliva.
  • Volevo dire... - mormorò – Non sentirti troppo in colpa per queste tue fantasiose uscite, Elia. Può capitare, sì, di lasciarsi andare. Sono stati quattro anni molto intensi per tutti noi ed è normale cercare spiegazioni anche... anche assurde, quando la logica ci abbandona. Io... ecco, credo che andrò a casa, ma la settimana prossima...
Il resto della frase si perse in un vago borbottio. Il resto dei presenti non osò muoversi dal proprio posto e soltanto un paio di voci si alzarono a salutarlo quando uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle con estrema delicatezza. Dal corridoio giunsero dei singhiozzi.
  • Beh. - fece Elia, allungandosi dalla propria sedia per poter dare una pacca sulla spalla a Ismaele – Benvenuto nel gruppo.
  • Grazie. - rispose lui, con la bocca secca.
  • Bisogna ammettere che è stata una seduta più breve del solito. - commentò la ragazza vicina a Carlotta, incrociando le braccia al petto – Cristo, neanche dieci minuti.
  • Potevate evitare gli zombie. - fece un altro partecipante, scoccando a Elia un'occhiata colma di rimprovero – Poveraccio, così è troppo.
  • Cioè, va sempre così? Tutte le sedute? - chiese Ismaele.
  • Più o meno, direi di sì. A volte durano venti minuti, mezzora. Di rado, però. Poi il Mod dà di matto, a volte ci parla del fratello ritardato che ha dovuto ammazzare, perché sai, faceva rumore, rischiava di farli scoprire e... ops, forse ho parlato troppo? - s'interruppe Elia, con uno scintillio nello sguardo che Ismaele non riuscì a interpretare come senso di colpa.
  • No. No, va bene. Mio fratello sta bene.
  • Beh, sei fortunato, allora. - alzò una mano davanti ai suoi occhi e iniziò a enumerare, con tono leggero – Io ho perso una figlia ancora nella culla, la mia ex-fidanzata, mia moglie e un fratello più grande. Neanche a dirlo, i miei vecchi sono rimasti in vita. Traumatizzati, figuriamoci. Mia madre non fa altro che emettere fischi e sibili da quando ha visto mio zio che mangiava suo figlio. Mio fratello, voglio dire.
  • Ah. - fece l'altro – Mi dispiace.
  • Anche a me. Che mi siano rimasti i genitori, dico, ahah! - scoppiò a ridere fragorosamente, schioccando una poderosa pacca in mezzo alle scapole di Ismaele, rimasto congelato dalla piega che aveva preso la conversazione.
  • Elia, non esagerare. - lo sgridò la ragazza che aveva parlato prima – Lo stai spaventando. Non preoccuparti, Ismaele, non siamo tutti degli psicopatici come lui. Siamo solo... beh, dei reduci che hanno bisogno di parlare di quello che hanno passato. E stai sicuro che anche Elia ha pianto come una mammoletta nella doccia, prima di decidersi a venire fin qui.
  • Io non piango nella doccia. - protestò l'altro – Ho una jacuzzi.
  • Qualcuno si ostina a farsi da schermo con l'umorismo?
Dalla porta fece capolino il viso di un uomo sui trent'anni, accuratamente sbarbato, i capelli accuratamente lisciati all'indietro con gel. Ismaele lo fissò interdetto per diversi secondi, prima di rendersi conto che erano anni che non vedeva un uomo indossare un completo se non in televisione.
  • Ti sei perso la seduta più breve del mondo. - lo accolse la ragazza vicina a Carlotta, togliendo una borsa piuttosto ingombrante dalla sedia accanto alla sua – Carlotta? Carlotta, è arrivato Sergio.
  • Ciao, Sergio. - gli sorrise Carlotta, staccando lentamente gli occhi dalla finestra e portandoli sul nuovo arrivato – Come stai?
  • Benissimo. Nuovo arrivato?
Sergio tese una mano a Ismaele, che la strinse senza troppa convinzione, lo sguardo ancora perso nella perfetta rasatura dello sconosciuto.
  • Piacere di conoscerti. Come avrai intuito, sono Sergio. Spero che qualcuno ti abbia preparato alla follia cui hai assistito. Noi siamo abituati, ma...
  • Il Mod ha dato di matto come non mai, oggi. Per poco non ha infilzato Elia con la penna. - raccontò il ragazzo seduto vicino a Carlotta, con un ghigno divertito.
  • E possiamo biasimarlo, per questo?
  • Beh, vedo che siete un gruppo piuttosto affiatato. - fece Ismaele, facendo per alzarsi in piedi – Forse dovrei togliere il disturbo.
  • Non pensarci neanche, mio futuro amico!
Le mani di Elia gli si piantarono sulle spalle e lo tennero sulla sedia con tale vigore che Ismaele dovette farsi violenza per trattenersi dal colpirlo.
  • Elia, curiosamente, ha ragione. È un gruppo aperto, il nostro, nato dal bisogno di darsi aiuto l'un l'altro, e se ti trovi qui, vuol dire che hai bisogno di aiuto. Non farti problemi, cometichiami?
  • Ismaele. - borbottò l'altro, imbarazzato.
  • Ismaele! Perfetto. Le presentazioni sono già state fatte?
  • Mh. Mi sa di no. - fece Elia.
  • Basta che io mi assenti per una decina di minuti e vi trasformate in un branco di selvaggi. - sbuffò Sergio – Ora, la stupenda fanciulla che guarda fuori dalla finestra si chiama Carlotta, alla sua destra possiamo notare l'irritante Andrea e per ultima, ma non certo per importanza, abbiamo l'adorabile Sandra. Domande?
  • Tante. - si risolse a rispondere Ismaele, facendo del suo meglio per abbozzare un sorriso – Ma non credo che riuscirò ad articolarle.
  • Beh, sono certo che troverai le risposte che cerchi nel corso della serata. - fece Sergio, esibendosi in un sorriso smagliante – Nel frattempo, se qualcuno volesse aiutarmi a portare dentro le casse, ho portato un po' d'alcol.

Mentre Elia e Andrea aiutavano Sergio a trasportare dentro svariate casse di alcolici, Ismaele rimase nell'angusta aula universitaria a fare compagnia a Sandra. Temeva, se avesse varcato la soglia dell'edificio, che non avrebbe più trovato il coraggio di rientrare, e allora addio alla terapia di gruppo. Sandra ammucchiò le sedie contro il muro, poi tirò fuori da un vecchio armadio di metallo diversi cuscini e alcune torce. Aiutò Carlotta a scivolare giù dalla sua sedia fino a farla sedere su un cuscino, e a Ismaele parve che la ragazza non si fosse accorta di nulla.
Quando i ragazzi tornarono, si disposero a cerchio, sui comodi cuscini ammassati sul pavimento. In mezzo a loro furono buttati diversi sacchetti di patatine e salatini e una lampada a olio accesa. Spensero la luce, chiusero la porta. Iniziarono a bere stappando una birra, versandola in bicchieri di plastica colorati.
  • Allora. - fece Sandra, lanciandogli un sorriso d'incoraggiamento – Le nostre sedute sono fatte così. Beviamo, ci rilassiamo, chiacchieriamo e... ricordiamo. Niente censure, niente recriminazioni o sensi di colpa. Adesso ti sentirai a disagio, ma non sarà così ancora per molto.
  • Beh. Lo spero. - sorrise appena Ismaele, rigirandosi tra le mani il bicchiere di plastica. Doveva concentrarsi, per riuscire a non versarsi la birra sui pantaloni. Tremava.
  • Ok, comincio io. Alzi la mano chi ha dovuto bere la propria urina!
Solo Elia fece svettare verso l'alto la propria mano, esibendo un sorriso smagliante. Rimase fermo così, in posa plastica, petto in fuori e mento alto, finché Carlotta e Sergio non svuotarono il proprio bicchiere.
  • Capito come funziona, Ismaele? - fece Andrea, puntandogli contro il proprio bicchiere ancora pieno.
  • Eh...
  • È un drinking-game. Ognuno dice una cosa che ha dovuto fare durante l'Apocalisse, e chi non l'ha fatta deve bere. Va a rotazione. Ora, hai dovuto bere la tua stessa urina?
  • Beh, no...
  • Allora, alla salute.
Ismaele svuotò il proprio bicchiere, rimpiangendo di averlo riempito fino all'orlo.
  • Mi aspettavo qualcosa di diverso, dalla terapia di gruppo... - commentò.
  • Se il tuo moderatore è totalmente fuori di testa, tocca arrangiarsi. - fece Sergio - A chi tocca?
  • Io – proclamò Sandra, facendo svettare in aria la propria mano – Sono stata rinchiusa in un'aula scolastica da sola, per più di due settimane, perché ero stata a contatto con uno zombie e si temeva che fossi rimasta infetta.
  • Beh, ma questa è difficile. - borbottò Andrea, svuotando il proprio bicchiere.
Bevvero, e toccò a Carlotta.
  • Io ho ucciso un mio parente. - sussurrò.
  • Siamo solo noi due, temo. - sorrise Elia, sfoggiando con un ghigno il bicchiere ancora pieno, mentre gli altri bevevano.
  • Io mi sono totalmente arreso alla totale follia del mio punto di raccolta – raccontò Sergio, lentamente – e non ho fatto nulla per evitare gli stupri, le torture e le variegate violenze che si sono susseguite fino all'arrivo dei militari.
Solo il bicchiere di Andrea rimase vuoto.
  • Io ho... - si sentì iniziare Ismaele, stentando a riconoscere la propria voce impastata – Ho approfittato dell'epidemia per vendicarmi di un tizio che odiavo.
  • Wow. - commentò Sandra – Tosta.
  • Ma non ci è dato di commentare né di giudicare. - fece Sergio, senza alzare di un millimetro il proprio bicchiere – Dico bene, nuovo arrivato?
  • Mah. Credo.
  • Il saggio ha parlato. - commentò Andrea – Io ho sventrato il cagnolino di mia cugina per mangiarlo.
Andarono avanti così per diverse ore, inframezzando le confessioni con occasionali chiacchierate atte a spiegare meglio il contesto in cui le loro colpe avevano preso forma. Il vecchio liceo classico in cui Sandra era rimasta imprigionata per anni insieme ai suoi compagni, l'allegra fattoria della famiglia di Elia, la casa in campagna in cui Carlotta aveva vissuto con la sorella più piccola e i genitori, i punti di raccolta militarizzati degli altri. Gli amici e i parenti trasformati in cadaveri, quelle volte in cui avrebbero potuto salvare qualcuno ma avevano preferito non farlo, il preciso momento in cui avevano smesso di provare orrore per i cadaveri putrefatti, ormai parte integrante del paesaggio.
Andrea aveva sfoggiato il suo nuovo tatuaggio, 'Zombie Hunter' rosso sangue sull'avambraccio. Sergio aveva riso del collega in banca, che ancora piangeva quando sentiva un rumore troppo forte. Sandra rimpiangeva il disperato libertinaggio di quegli anni. Elia si era accoccolato contro la spalla di Ismaele e aveva iniziato a russare.
  • Non riesce a dormire se non a queste riunioni. È una forma schifosa d'insonnia. - gli spiegò Andrea.
  • Anche a me ci sono voluti mesi per riuscire ad addormentarmi senza qualcuno che montasse la guardia. - borbottò Sandra, rabbrividendo – Cristo, non ho dormito per mesi.
  • A volte... - sussurrò Ismaele – un po' mi manca. Quella sensazione... non lo so.
  • Dai, non fare il timido. - lo incoraggiò Sergio, dandogli una piccola gomitata tra le costole – Ormai avrai capito che qui puoi dire di tutto.
  • No, è che... - deglutì rumorosamente – Il fatto che potessimo morire da un momento all'altro, non lo so... dava un senso alle nostre vite. Tutta quella violenza, quella minaccia, quel sangue... era così umano. Così vero.
  • Più onesto, vuoi dire? - aggiunse Sandra.
  • Sì.
  • Già. - sospirò lei, lanciando un'occhiata a Carlotta, i cui occhi si erano persi di nuovo oltre i vetri della finestra – Manca anche a me. Certo, le probabilità di crepare erano alte, ma d'altro canto era tutto così semplice. E veloce.
  • Sembrava di vivere in un fumetto. - aggiunse Andrea, con un sorriso.
  • 'Non aspettatemi per cena, vado a uccidere gli zombie'. Era esaltante poterlo dire. - ricordò Sergio, con un sorriso.
  • È bello che mi capiate. - sospirò Ismaele – Quando provo a parlarne coi miei amici o con mio fratello, mi guardano come se fossi un mostro psicopatico.
  • Beh, siamo esseri umani. - sorrise Sandra – Non è che ci sia poi questa gran differenza.
  • Ti dirò, Ismaele – iniziò Sergio, stringendogli una mano sulla spalla – Mi stai simpatico. Anzi, mi ispiri fiducia. Credo di parlare a nome di tutti se dico che abbiamo trovato in te un valido alleato e un vero amico.
  • Beh... grazie?
  • Ti interesserà sapere che il nostro Andrea, qui, è tra gli scienziati che stanno attualmente studiando il germe che ha portato all'epidemia zombie, in modo da poterne ricavare un vaccino.
  • Ah. Complimenti.
Andrea rispose alzando il bicchiere e svuotandolo.
  • E se davvero la pensi come noi, di certo troverai esaltante il fatto che sì, ci sono ancora degli zombie in, si fa per dire, vita, adeguatamente rinchiusi nel laboratorio cui mi riferivo poc'anzi.
  • Dove vuoi arrivare? - chiese Ismaele, strizzando gli occhi per riuscire a distinguere meglio l'espressione di Sergio, che sorrideva a pochi centimetri dal suo viso.
  • Non 'arrivare', Ismaele. 'Tornare'. Ai bei vecchi tempi!
A parte Ismaele, troppo sconvolto, ed Elia, collassato contro di lui, tutti alzarono i loro bicchieri e brindarono 'Ai vecchi tempi'. Sergio ricominciò a parlare con tono suadente e amichevole, illustrando al nuovo arrivato il piano che avevano – tutti insieme, come una vera squadra – accuratamente congegnato, passo per passo, birra dopo birra. Ciò che forse avrebbe disgustato un Carlo sobrio, fece breccia nell'animo di Ismaele.
  • Perché è così che dovremmo vivere, Ismaele. - concluse Sergio, rivolgendogli uno sguardo carico di speranze e promesse – Non come spaventati impiegati, ma come cacciatori. Brivido, sangue, adrenalina.
  • Quando... - biascicò – Quando cominciamo?
  • Stanotte. - sorrise Andrea.
Ismaele si accorse che Elia si era svegliato quando avvertì le sue mani stringergli il braccio sinistro in una morsa ferrea, ma non comprese appieno quello che stava accadendo finché Sergio non si avventò sul suo braccio destro, stracciandogli la manica della camicia ed esponendo la sua pelle nuda alla siringa che Andrea aveva prontamente estratto da sotto un cuscino.
  • Grazie per la tua collaborazione, Ismaele. - sussurrò Sergio.
Vide la luce della lampada colpire l'ago, ne avvertì il pizzicore sul braccio, e da quella piccola puntura scaturì un bruciore che lo fece urlare come non aveva mai fatto in vita sua. Si chiese, nell'ultimo attimo di lucidità, come sarebbe stato diverso, questa volta, combattere dall'altro lato della barricata.