L'oceano in fondo al sentiero di Neil Gaiman

Eh.
Mi è un po' difficile iniziare un post su Neil Gaiman. Se bazzicate da queste parti da abbastanza tempo, probabilmente avrete intuito quanto io lo adori e idolatri. Quanto siano fantastiche per me le sue storie, quanto mi piacerebbe passare poche ore coi suoi occhi, o persa per il suo cervello. E come, curiosamente, io mi senta ogni tanto un personaggio perduto della sua penna.
Inizio col dire che L'oceano in fondo al sentiero (edito da Mondadori nella collana Strade Blu, traduzione di Carlo Prosperi)è un libro per adulti 'che possono leggere anche i bambini'. Io invece avevo pensato - errore mio - che fosse un libro per ragazzi a doppia lettura, gioiosamente fruibile anche dagli adulti. Un libro che letto da un bambino avrebbe sottolineato la spaccatura tra infanzia e età adulta, un 'noi' e 'loro', in una sorta di celebrazione della differenza. Mentre letto da un adulto avrebbe fatto salire una nebbia di nostalgia per quell'avvolgente senso di mistero in cui era bellissimo perdersi da bambini. Errore mio, dicevo, perché Gaiman l'ha descritto appunto come un libro per adulti. Lo specifico perché se n'era parlato su Facebook e mi è capitato di leggere più volte che si tratta di un libro per bambini. No, ci siamo sbagliati noi, o colleghi blogger.
Dunque, la trama.
La trama è abbastanza semplice, dopotutto. Ricorda Coraline, ma meno claustrofobico, e il 'mostro' è vasto, disperso, ignoto, laddove in Coraline era più chiaro e identificabile.
C'è quest'uomo di mezza età, che rimane sempre senza nome per tutta la durata del libro. Per via di un funerale deve tornare nei luoghi della sua infanzia, incontrare la sua famiglia, inoltrarsi nella fitta rete di relazione complicate che questo comporta. Guida, però, fino alla fattoria Hempstock e bussa alla porta. Gli apre una vecchia signora, che lo saluta e dice di ricordarsi di lui. È la fattoria in cui abitava Lettie Hempstock, una bambina che aveva conosciuto quando aveva sette anni. E il protagonista va a sedersi davanti allo stagno che Lettie gli aveva presentato come oceano e torna con la mente a quel periodo, a quei pochi giorni dei suoi sette anni che gli sfuggono ogni volta che si allontana dalla fattoria.
La storia è abbastanza semplice, per gli standard di Gaiman. Eppure, anche se di Gaiman adoro la complessità, le vicende che si intrecciano, gli intermezzi, le miriadi di personaggi meravigliosi anche quando appena abbozzati, ho adorato questo libro. C'è chi l'ha definito troppo semplice per essere un libro per adulti, critica plausibilissima. È vero che la trama scorre perfetta e lineare, come un sentiero perfettamente scolpito in mezzo a un bosco, eppure non riesco a non trovarlo perfetto così com'è. È arricchibile, vero, ma già ricco. 
Dicevo. Il protagonista aveva sette anni ed era... beh, praticamente era il bambino che sono stata io. Sempre col naso infilato in mezzo a un libro, a cercare storie, a inventarsene di nuove in cui giocare. Viveva in una bella casa insieme ai genitori e alla sorella minore. Tutto scorre tranquillo, nonostante le temporanee difficoltà economiche in cui versa la famiglia. Poi però c'è quell'avvenimento che fa scivolare tutto nell'improbabile, nel pericoloso, nell'elemento fantastico. Inizia dal cadavere di un pensionante, continua con delle monete, poi c'è Lettie Hempstock, quella bambina con gli occhi adulti che accoglie il protagonista nella sua casa, lo presenta alla Madre e alla Nonna, gli presenta lo stagno/oceano e lo guida nel mondo 'altro'.
Quindi sì, elemento fantastico come se piovesse. Un personaggio non umano, malvagio, che sembra voler prendere possesso del mondo. E aperture dalle quali s'infiltra il mondo 'altro' nel nostro. E sprazzi di mitologie, visto che secondo me le tre Hempstock sono Urd, Skuld e Verdandi. Anche Ecate, forse, per quella storia della Luna sul retro.
Una delle cose che adoro di Gaiman è il modo in cui non ti spiega il fantastico. Non c'è lo spiegone, è parte del mondo della storia e basta. Lo accetti, annuisci, ci credi come credi alla gravità o all'energia statica che crea i fulmini. C'è. Punto. In questo libro il fantastico introduce un mondo e un sistema che vengono intuiti, su cui ci si fa un'idea ma che non vengono esplicati fino in fondo. Non c'è un 'come-dove-perché' preciso. Non in Gaiman. Cosa che, ripeto, adoro.
Altra cosa che ho gradito particolarmente in questo libro è come la storia raccontata dal protagonista venga davvero riferita come vissuta nell'infanzia. Il modo in cui agisce e percepisce è quello di un bambino 'vero', non in modo affettato o falsato o eccessivo. Un bambino che è una persona.

Quindi... sì, beh, ovvio che lo consiglio. Certo che sì. Vorrei anche vedere.