Piccoli scorci di libri, ovvero recensioni assai brevi e poco impegnative #20

Avevo appena aperto il foglio di testo, quando mia sorella mi ha urlato di raggiungerla davanti alla tv che davano Gilmore Girls. Certe abitudini... tra l'altro era la puntata in cui  Rory ed Emily sono in Italia e per fare capire quanto fossero in Italia hanno piazzato due vespe davanti ad un bar e un paio di bandiere tricolore. E il cameriere era di una marpionaggine tremenda.
Comunque!
Tra pochi giorni partirò – gioiosamente – per il Salone del Libro (Wiiiii!) e mi scoccia lasciare questo blog senza aggiornamenti troppo a lungo, perciò vedrò di strizzare velocemente un paio di considerazioni su un paio di libri letti da poco. 
Dunque!

La famiglia Fang di Kevin Wilson – traduzione di Silvia Castoldi – Fazi Editore, 2012

Tanto per cominciare mi è piaciuto un sacco. E so che non si inizia così una recensione, ma mi premeva di sottolinearlo stavolta. Non so perché. Anche questo, come Il bello della vita di Dan Rhodes, presenta riflessioni sull'arte contemporanea e su ciò che è effettivamente definibile 'arte'. E poi ci sono i legami familiari, fino a che punto l'arte intesa come scopo di vita deve infiltrarsi nella famiglia e nella vita dei bambini e... e beh, è interessante, oltre che bello.
Vediamo, la trama. C'è questa famiglia Fang, formata dai genitori Caleb e Camilla e i due figli, Annie e Buster. O Bambina A e Bambino B, come vengono chiamati durante le loro performance e nell'ambito artistico. La missione di questa famiglia – o meglio, dei genitori – è creare il caos partendo dalla messa in scena di una situazione assurda e dagli esiti imprevedibili. Gli attori – a parte loro – sono coloro che assistono e reagiscono, del tutto inconsapevoli.
Seconda pausa Gilmore Girls, che c'è un'altra puntata. Dannazione.
Dicevo, la famiglia Fang è famosa per quello che fa e quello che fa implica la partecipazione di due bambini, pressati in personaggi caustici o maleducati, comunque sempre al centro dell'attenzione. Forzati a fingere. Prima l'una e poi l'altro si allontaneranno dai genitori per perseguire una forma d'arte personale, Annie diventando attrice e Buster scrivendo.
La storia segue due filoni narrativi, quello del presente viene intervallato con capitoli sul passato, sulle performance che vedono Annie e Buster ancora bambini e poi sul loro allontanamento dei genitori.
A un certo punto fratello e sorella si trovano a doversi rivolgere nuovamente ai genitori, a dover tornare da loro. Periodi di crisi in contemporanea. Però poi...
Però leggetelo, perché è bellissimo. E perché i personaggi sono vivi e le riflessioni sull'arte... insomma, leggetelo.

Exit di Alicia Gimenéz-Bartlett – traduzione di Maria Nicola – Sellerio Editore, 2012

Di solito non mi approccio mai ad un autore iniziando dal suo primo libro. Ho scelto Exit perché sapevo che la sua pubblicazione era recente e solo a lettura terminata ho scoperto che si tratta dell'opera prima della Gimenéz-Bartlett, la cui prima edizione spagnola risale al 1984. Effettivamente l'avevo trovata un poco acerba, anche se non in modo fastidioso. Più che altro arrivata a metà libro non riuscivo a capire se mi piacesse davvero. Ho fatto la prova, non leggendolo più per un giorno intero, iniziando Generazione A di Coupland e la sera mi sono trovata a chiedermi cosa succedesse ai personaggi di Exit. E allora l'ho ripreso in mano e finito in un paio di giorni.
La trama è piuttosto semplice e non particolarmente originale, anche se non ho mai visto l'argomento trattato in questo modo. Berset, il dottor Eugenius e l'infermiera-psicologa Matea decidono di rendere una villa lussuosa una specie di... come dire, un'ultima spiaggia. Un luogo di ritrovo meraviglioso per persone che hanno deciso di uccidersi e preferiscono farlo in compagnia o di essere aiutati nel farlo. Da parte loro, i fondatori di Exit – che è il nome dell'organizzazione – si impegnano a rispettare totalmente le volontà degli aspiranti trapassati e ad assisterli nella messa in scena della loro morte. Si riuniscono sotto il loro tetto diversi personaggi, normali o strampalati, la cui caratterizzazione – e questo non ho ancora deciso se vederlo come pregio o come difetto – è portata all'estremo. Un ex-finanziere, una vedova allegrissima, due ragazze stupende, un ex-ferroviere, un irritantissimo poeta... insomma, si trovano a convivere per il tempo massimo di una stagione e possono decidere di morire in qualunque momento. Ma nel frattempo stringono legami che sembrano quasi posticci, inutili visto che dopotutto sono tutti destinati a scomparire.
Ecco, mi è piaciuto. È scritto bene, la trama scorre dapprima un po' faticosamente per poi iniziare a correre dopo la prima dipartita. Alcuni dialoghi sono un po' esagerati e poco realistici, ma in un certo senso funzionano comunque, perché si addicono ai personaggi esasperati.
Diciamo che il mio giudizio è prevalentemente positivo, ma non lo consiglio col consueto entusiasmo, ecco. Sicuramente vedrò di reperire altro della stessa autrice, visto che questo dopotutto è il suo esordio.