Piccoli scorci di libri, ovvero recensioni assai brevi e poco impegnative #18


La principessa sposa di William Goldman – traduzione di Massimiliana Brioschi – Marcos y Marcos, 2007

Non so se avete presente il film La storia fantastica. Io sì, l'avevo visto anni fa, che andavo ancora alle superiori e mi era piaciucchiato abbastanza. Invece il libro da cui è tratto – che poi sarebbe questo – l'ho adorato oltre misura. Tanto per cominciare perché è ironico e parodistico a livelli Pratchettiani. E poi perché racconta una storia assurda, inframezzata dalle considerazioni di chi la racconta, popolata da personaggi estremizzati ma incredibilmente coerenti. E soprattutto, interessanti.
Inizia con un prologo di cui sinceramente avrei anche fatto a meno, una cornice in cui l'autore racconta di un libro che il padre gli aveva letto quando aveva dieci anni e che adesso vorrebbe regalare al proprio figlio. Solo che, una volta trovato il suddetto libro, lo scopre diverso, decisamente più lungo, non improntato all'intrattenimento di un ragazzino ma una specie di accozzaglia di considerazioni caricaturali sulla nobiltà dell'epoca, che il padre del tizio aveva accuratamente saltato durante la lettura, tagliando pagine su pagine a beneficio del figlio.
Ora, io questa cornice non l'ho gradita moltissimo. C'è qualche riflessione interessante sulla lettura, su quello che rende divertente un libro etc, ma non è proprio essenziale. Tra l'altro il narratore è simpatico come un callo.
Poi arriva finalmente la storia vera e propria, quella della principessa sposa, accuratamente tagliata dal narratore. E qui parte la presentazione della giovane e vivace Buttercup, dei litigiosi genitori, del garzone Westley... e, ecco, non è che posso andare troppo avanti con la trama, perché fila spedita e incontrollata, un parossismo di favola. È leggera, divertente e crudele allo stesso tempo, ma non di una crudeltà cupa e reale. È quella delle favole per bambini, che non si sofferma sulla cruda sofferenza,  ma piuttosto sulla fantasia di un piano malvagio.
E la fantasia qui scorre a fiumi. È una parodia e uno scherzo, eppure anche una storia meravigliosa.
E l'ho adorata. È un libro che si legge col sorriso.

La banda degli invisibili di Fabio Bartolomei – Edizioni E/O, 2012

Io adoro Bartolomei e il modo in cui si mette a dipingere la nostra Italia ruvida e allegra, tesa tra risate e disperazione. Questo libro è particolarmente amaro, perché tratta di una situazione che non ha alcuna speranza di rivalsa, nel mondo reale. E punge la consapevolezza di cosa succede al di fuori delle pagine. E fanno rabbrividire di rabbia certi ricordi, che ho ancora il groppo in gola e voglia di urlare.
Questo libro è fortemente politicizzato. Non in senso lato, che qualunque cosa è intimamente politicizzata. Questo libro ha una precisa coscienza di sinistra. Che io condivido e approvo. Ogni capitolo inizia con una boiata detta dall'esimio ex-premier nel corso dei suoi squallidissimi e inconcepibili anni di operato. Un paio mi mancavano, devo dire. Tipo 'Perché pagare gli scienziati quando facciamo le scarpe più belle del mondo?'. Ma cosa si può rispondere a una minchiata di queste proporzioni?
Noterete un cenno d'irritazione. C'è. Non ve lo state immaginando, è proprio lì, a fare da sottotesto a questo scampolo di recensione. Politicamente parlando, sono incacchiata come una iena. E se mai aveste votato quell'orrido omuncolo, sappiate che vi denigro e disdegno.
Ma andiamo al libro, va'.
Il narratore e protagonista è l'ottantacinquenne Angelo, vedovo ed ex-partigiano. Grazie al centro anziani è riuscito a farsi qualche amico, Osvaldo, Ettore e Filippo. È innamorato di Lauretta, coetanea che tuttora si sforza d'imparare il francese, l'uso del computer, legge e sorride. Sono tutti poveri, chi più e chi meno, con le arci-note pensioni da fame, amareggiati dal mondo che li circonda e dimenticati dalle famiglie, a parte Filippo che ha un nipote d'oro.
Un giorno a questi quattro vecchietti – non troppo – arzilli viene in mente di rapire Berlusconi. La storia si dispiega nella narrazione delle loro giornate, dei loro discorsi, dei ricordi di Angelo. Il suo pensiero che corre al tedesco ucciso durante la Resistenza mi fa pensare a MIO NONNO - lo metto maiuscolo perché di solito, quando ne parlo mi sale la voce di un'ottava, mi ergo in tutta la mia altezza e butto il petto in fuori dall'orgoglio - e ai suoi racconti partigiani.
È un libro che fa male, questo sì. Ci si dibatte tra un tonfo al cuore e un sorriso. È un bel libro e basta e io ve lo consiglio, ma ve lo prescrivo lontano dai momenti brutti.