Dibattimento sulla gradevolezza di Jane Austen - e infamante comparazione finale.


Qualche giorno fa sono incappata in questo post su Le Librerie Invisibili, '200 anni e non sentirli', dedicato al celebre capolavoro di Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio. È un post interessante, in cui ci si domanda dove si trovi la ragione del successo eterno e dell'adorazione imperitura per questo libro e in cui vengono citate le risposte date da alcuni scrittori contemporanei. Ne condivido alcune, altre un po' meno. Ma non è che io voglia offrirvi uno sterile riassunto di un articolo altrui, anche se mi rendo conto di non potervi aggiungere nulla di ferrato o competente.
Il fatto è che da quando l'ho letto mi è sorto un tarlo nel cervello e l'esperienza mi ha insegnato che l'unico modo per cacciarlo è disquisirne qui. Il tarlo si chiama dubbio e la domanda è 'Perché mi piacciono così tanto zia Jane ed eredi di penna?'. Le sorelle Brontë, Elizabeth Gaskell. E anche Georgette Heyer, nata all'inizio del Novecento eppure fortemente ancorata alle scrittrici classiche di poc'anzi. Non riesco a non domandarmi di quale magica sostanza siano intrisi i loro scritti, perché io le idolatri a tal punto.
Ora, voi non mi conoscete di persona. Altrimenti sapreste che mi trovo perfettamente a mio agio tra i truculenti massacri di George R. R. Martin e le improbabili e sanguinosissime sparatorie di Joe R. Lansdale, nell'assurda e fangosa ironia di Terry Pratchett o nelle efferate carneficine della prima Laurell K. Hamilton. Gocciolanti fori di pallottola e boccali straripanti di birra mi regalano sospiri di quieto relax, quel senso di tiepido comfort dato dalla consapevolezza di trovarsi nel proprio ambiente.
Sarà che ormai vivo più nei libri che nella realtà, però la situazione mi confonde. È come alzarsi in piedi dopo aver partecipato ad una strage, scusarsi con gli astanti coperti di sangue e melma e allontanarsi alla volta di un candido salotto coperto di pizzi, invaso da pallide donzelle intente a ricamare e sorseggiare tè. Dalle urla della battaglia al più delicato sussurro, dal clangore di spade che cozzano al tintinnio delle tazze di porcellana sul piattino.
Ho sempre pensato – e in parte lo credo ancora – di non avere nulla a che fare con quei salotti. Una parte di me si atrofizza ogni volta che qualcuno mi parla di trucchi, vestiti o matrimoni. Eppure zia Jane & compagnia, nel corso delle loro narrazioni, si trovano spesso a dilungarsi sul vestito di uno e sui gioielli dell'altra, di piccoli inganni e lunghi corteggiamenti. E una parte di me arriva perfino a rallegrarsi in quei lieti finali di gioiose nozze.
E già il fatto che io consideri un matrimonio un lieto evento è di per sé bizzarro. Eppure...
In questo vecchio post dedicato a zia Jane avevo ipotizzato che parte del mio interesse verso tale forma di letteratura dipendesse in parte dall'affidabilità storica dell'autrice, nella sua personale interpretazione, come donna e come intellettuale, della condizione sociale del genere femminile all'inizio dell'Ottocento. Però non è soltanto questo, perché l'interesse storico non spiega il piacere nella lettura.
Sempre nel post sopracitato di Le Librerie Invisibili, una delle ipotesi si rifà al bisogno di buone maniere. Di educazione, di rispetto tra esseri umani, di cortese distanza tra le persone. Può darsi. Il che mi incuriosisce, perché tendo a cercare un rapporto quasi simbiotico e inquietantemente schietto con i miei amici più stretti. Eppure...
Un'altra delle ragioni evidenziate da Le Librerie Invisibili è l'ambientazione in un contesto in cui tutto ha un suo posto e una sua collocazione, i confini sono netti e definiti e tutto risulta più semplice. Magari più duro e ingiusto, ma semplice.
Poi, poco fa, ho letto un post sul blog di Nina Pennacchi, ove la suddetta scrittrice di romance si dichiara orgogliosa del genere cui ascrive la propria opera – e sulla quale vorrei tanto mettere le manacce, non fosse che sono ligure e ho il budget azzerato... - in cui leggo '… non credo che un uomo potrebbe capire davvero quello che voglio dire. Più che ottusi, non hanno sfumature.'
Parole che sento, quantomeno statisticamente, di condividere. Se mi seguite da un po', probabilmente saprete che non sostengo in alcun modo la tesi della differenza biologica tra uomo e donna che va a definire la distanza caratteriale. Per me – e per molti sociologi, coff – la distanza tra i generi dipende dal condizionamento ambientale e culturale.
Però questa distanza c'è, non è che posso negarne la presenza. Crescere come femmina è estremamente diverso dal crescere come maschio. La differenza che c'è tra micro-machines e una lavatrice di plastica, per dire. Quella stessa differenza che in un certo senso mi fa sentire che Orgoglio e Pregiudizio è mio, che appartiene a me più di quanto non potrebbe appartenere a mio padre.
Ma non voglio mettermi a polemizzare, non è questo l'intento del post.
In realtà non ce l'ho chiaro nemmeno io, l'intento di questo post. Alla fine ne ha davvero uno, tolto il bisogno di mettere per iscritto i miei dubbi e i miei arrovellamenti? A ben vedere non ho fatto altro che riprendere un post che avevo già scritto un anno fa e arricchirlo con frasi trovate su altri blog.
D'altronde – e forse qui sta l'unica vera goccia d'utilità di questa lunga manfrina – credo sia il caso di sottolineare la costanza e l'ascesa del successo di questi libri. Di queste donne che spiccano per intelligenza, che osservano, analizzano, riflettono. Anche se costrette in corsetti e cipria, donne acute e forti della propria sagacia.
Soprattutto, credo sia il caso di sottolineare questa tendenza in contrapposizione ad un'altra, ben più recente e che spero di non nominare mai più in questi lidi, fatta di libri in cui non c'è una donna lieta senza un collare o un'arrossata sagoma di frusta sul didietro. Protagoniste la cui sagacia rivaleggia con quella di un cocker e la cui arguzia si ferma ben prima. Non parliamo della forza, che par di sparare sulla croce rossa.
Quindi, ecco, quando ci piange il cuore alla vista di eserciti di libri il cui eroe è un disadattato privo d'eloquio ma ricco di cuoio, consoliamoci pensando all'imperituro successo di zia Jane e dei suoi personaggi.
Non è poco.