Urgono sangue e violenza, lode a James Ellroy e lamentele sparse.


Sarò sincera, ho passato il pomeriggio ad augurare le peggio disgrazie al nugolo d'incompetenti che popolano le segreterie universitarie di tutta Italia. Tra informazioni sbagliate, dimenticanze e documenti persi, trovo curioso che suddetto personale riesca a trovare le sedie su cui posare le terga senza l'ausilio dell'FBI.
Ad ogni modo, essendo dominata dall'ansia e da una cospicua voglia di sangue inetto, mi sono recata tosto nella libreria dell'usato di cui ogni tanto favello e in cui spesso cerco rifugio. Mentre vagheggiavo tra gli scaffali, nonostante avvertissi già l'odio placarsi, realizzo che mi ci vorrà qualcosa di forte con cui sfogarmi. Un po' di quella violenza gratuita, di quel sangue vischioso, di quell'umanità melmosa e oscura che da diverso tempo ho smesso di andare a trovare. Passo dallo scaffale dei classici a quello di thriller-gialli-noir et similia e mi trovo davanti uno dei miei libri preferiti di sempre, Il Grande Nulla di James Ellroy. Mio, mi dico subito.
E poi, tornando verso casa, mi rendo conto di non aver mai parlato degnamente di Ellroy, qui. Sono tanti gli autori di cui finora non ho parlato granché, cui sento di dover dedicare un lungo e adorante post. Ci sono Terry Pratchett, Joe R. Lansdale, Chuck Palahniuk, Diana Wynne Jones, Walter Moers, Chaim Potok... voglio dire, sono tanti gli scrittori che adoro e di cui ancora non ho fatto parola, un po' per ragioni di tempo e un po' perché sento che non è ancora il momento. Però l'incontro con Ellroy è stato importante, forse decisivo nella mia vita di lettrice. Perché prima di incappare nel suo L'angelo del silenzio non avevo mai letto thriller, gialli o noir né intendevo farlo. Proprio non mi interessavano, non mi dicevano nulla. Indagini, misteri, assassini... non erano per me. Poi, mi pare fossi in seconda superiore, mi trovavo a vagare per la biblioteca senza sapere cosa prendere. E mi cadono gli occhi su quel titolo, su quella copertina... lo soppeso, lo prendo, lo porto a casa e comincio a leggerlo. E puff, cado innamorata della scrittura di Ellroy. Dei suoi personaggi, del loro marciume, di quello che hanno dentro, che sa essere tanto orrendamente puro e li spinge a commettere delitti inenarrabili.
Da Ellroy passo a Jeffery Deaver, a Ruth Rendell, a Edward Bunker, a Elizabeth George... se non fosse stato per lui forse non sarei andata a cercarli o forse sarebbe passato molto più tempo. Ma ecco, per quanto adori tutti questi autori appena menzionati, devo ammettere che James Ellroy tra loro spicca, fulgido e inquietante.
Conoscete la sua storia? È uno che ha provato tutta la confusione e la rabbia di cui parla. La madre strangolata quando lui non aveva che dieci anni, l'ombra della mancanza di un colpevole, droga e carcere... voglio dire, Ellroy è uno che sa di cosa parla. Ha toccato con mano quel mondo gelido e metallico di cui tanti parlano.
Che dire? Questa non è una recensione, non è un post dedicato ad un autore... non è molto, si discosta appena dal nulla. Diciamo che è un appunto. Devo assolutamente recensire Ellroy. Glielo devo. Soprattutto se grazie alla rilettura di Il Grande Nulla riesco a trattenermi dal fare strage degli inetti che ostacolano il mio trasferimento di facoltà...