Disquisizioni sul Piacere della Lettura


Sarà che bado molto alla sostanza
e gran parte delle persone sono inconsistenti.
Ecco perché me ne piacciono poche.

Tanto per cambiare, l'introduzione non ha nulla a che vedere con quanto tratterà questo post. È che l'ho trovata in un link su Facebook e per un attimo mi ha sciacquato via tutta la sovrastruttura culturale, lasciandomi pura anima imberbe. Capita anche a voi? Comunque è durato poco, due secondi dopo stavo sospirando tipo post-esperienza extra-corporea. È di Shakespeare, comunque. Viene da 'Sogno di una notte di mezza estate'.
Oggi voglio parlare di quanto ho letto su un post diversi giorni fa. Un post trovato sempre tramite Facebook, sulla bacheca del gruppo Libriamo, che ha subito catturato la mia attenzione. Il link rimanda al blog dello scrittore Federico Platania, Platania. Non ho mai letto nulla di suo, quindi di certo non posso esprimermi in tal senso. Voglio solo dire la mia su quanto ha enunciato in suddetto post, 'E se intanto smettessimo di dire che la lettura è un piacere?'.
Sono così in totale disaccordo che è quasi difficile trovare le parole per esprimerlo appieno. Per me la lettura non è solo un piacere, è proprio il Piacere Massimo. Mi viene l'acquolina in bocca, quando pregusto un libro agognato, quando ne sfoglio le pagine, quando lo accarezzo sulla copertina a mano aperta.
E quando una lettura non mi dà piacere, bon, io la mollo lì. A meno che l'autore non sia tanto incompetente da rendere la lettura esilarante, in quel caso magari continuo tra le risate. Ma è già un piacere diverso, frutto di malignità saccente e non della pura 'lettura'. Non mi faccio problemi ad abbandonare i libri che non mi aggradano. Voglio dire, perché sprecare il mio tempo a sorbirmi qualcosa che non mi soddisfa, quando il mondo è così pieno di libri che potrebbero piacermi da farmi rodere l'anima al pensiero che non potrò mai leggerli tutti? Non dà noia anche a voi? A me tantissimo. Il pensiero di una biblioteca sterminata piena di miei potenziali-libri-preferiti. E io non li leggerò mai.
Che nervoso.
Se non avete voglia di andarvi a leggere il post di Federico (che comunque è ampiamente motivato, il fatto che io non sia d'accordo non rende certo la sua opinione ridicola o inconcepibile) vi riassumo brevemente la sua tesi. Facendo riferimento a un episodio della propria infanzia, quando il padre gli indica 'Ulisse' di James Joyce come una lettura difficile e impegnativa, che non tutti riescono a ultimare, Federico riflette sul fatto che il 'piacere' della lettura potrebbe non essere immediato e contemporaneo alla stessa, ma manifestarsi dopo, a libro ultimato. Una soddisfazione per averlo saputo leggere, per averne sconfitto le insidie, per aver estrapolato tutto il suo senso e tutta la conoscenza che poteva offrire.
Io non dico che non esista questo tipo di soddisfazione derivante dalla lettura, credo solo che provenga da un determinato tipo di libri. Quelli di saggistica o quelli che vengono assegnati da leggere per motivi di studio. A ripensarci, non mi dispiace di aver letto determinati libri, perché mi hanno saputo dire molto su una determinata cultura e sono contenta delle conoscenze che ho acquisito. Però è anche vero che avrei preferito poter fare a meno di leggerne alcuni, ad esempio (non me ne vogliate, i gusti son gusti) 'Canne al vento' della Deledda.
Ma in certi casi io non parlo del piacere della lettura di per sé, solo della soddisfazione per una conoscenza acquisita. È una gioia diversa, credo.
Considerando che sono solita fruire di letteratura di genere tutt'altro che difficile – anche se ultimamente ho ampliato i miei orizzonti verso i Classici – forse si può anche pensare che sia facile per me parlare, visto che all'Ulisse di Joyce non mi sono ancora avvicinata. Che sforzo può esserci nella lettura di un Joe R. Lansdale, di un Neil Gaiman, di un Christopher Moore? Eppure ricordo che alle superiori sono stata colta da una febbre di Pasolini, e mi sono sciroppata buona parte delle sue opere – ammetto che ne ricordo pochissimo e che ho dovuto arrendermi innanzi a quelle in cui il dialetto romano era troppo marcato – senza dovermi sforzare, senza dovermi ripetere 'Dai, a lettura finita sai che soddisfazione!'. Al massimo mi dicevo 'Non vedo l'ora di iniziare il prossimo'. Voglio dire, se la lettura non appassiona al punto che le pagine scorrono come niente, che non vedi l'ora di sapere come va avanti, che ogni capitolo è un brivido... che senso ha leggere? Forse la lettura per diletto e la lettura per conoscenza dovrebbero avere due nomi diversi.
Anticipando eventuali risposte, dico subito che mi rifiuto di fare una distinzione tra 'Signora Lettura da Veri Intellettuali' e 'Lettura così Leggera da Risultare Indegna pure di Comparire su Anobii'. La lettura è lettura, se leggi un libro che non ti piace soltanto perché fa figo sei uno snob tirone.
Beh, io ho detto come la penso. Direi che ho sproloquiato abbastanza.
Quello che manca sono le vostre opinioni. Voi che dite?